giovedì 30 aprile 2009

Buon Primo Maggio.



Speriamo che dopo i papaveri tornino a fiorire altre cose. Un gran partito, per esempio. Dei lavoratori, magari.
Di nuovo, buon Primo Maggio a tutti.

mercoledì 29 aprile 2009

Ritardo

Ritardo, dice Maria. Cazzo, dice Giulio. Be’, dice Maria. Be’ un bel cazzo, dice Giulio. Che vuol dire? dice Maria. Come, che vuol dire, dice Giulio, sei cretina? ribadisce Giulio. Non ti passa neanche per l’anticamera del cervello che vuol dire? dice Giulio. Ma, scusa, dice Maria. Ma scusa un beatissimo cazzo, dice Giulio, cosa dico a mia moglie? dice Giulio. Non puoi inventarti una scusa? dice Maria. Sì, certo, le avevo promesso i cannelloni con il brasato di yak tibetano per cena, per festeggiare il nostro centoventicinquesimo mesiversario, e le racconto che il catering più esclusivo di Milano, quello che rifornisce tutti quegli stilisti culattoni da anni, fa ritardo? dice Giulio. Non solo non è credibile, dice Giulio, non è ammissibile, conclude Giulio.
…, dice Maria.
Fra quanto arriveresti? dice Giulio. Fra un quarto d’ora, venti minuti al massimo, dice Maria. Vave’, non è così grave, dice Giulio, possiamo farci una sveltina, dice Giulio. Mi raccomando, dice Giulio, ricordati i cannelloni.

martedì 28 aprile 2009

Futuro posteriore.

Tornerò sui miei passi e li cancellerò, camminando all'indietro, per far perdere le mie tracce. Sospirerò, esitando davanti a quelle foto che, non vorrei ma, comunque, dovrò bruciare. Raccoglierò tutti gli indizi che potrebbero incatenarmi lì, e li porterò con me, ma solo fino all'inceneritore. Trasformerò la posizione della stanza. Non mi limiterò a cambiare la disposizione dei mobili, ma abbatterò due pareti e ne tirerò su una nuova. Aprirò nuove finestre. Mi affaccerò su una valle che, prima, non potevo vedere. Ritroverò o almeno ricercherò un altro ritmo di vita, una routine più rilassata, forse più noiosa, ma certamente più umana. Metterò attenzione in tutto quello che farò, sarò consapevole di me in ogni momento, sarò presente. Sarò presente, finalmente, e smettero di vivere sospeso in un futuro che non è mai arrivato. Ed ora è già dietro le spalle.

lunedì 27 aprile 2009

L'indifferenza.



la crisi sanitaria nello Zimbabwe;
la catastrofe umanitaria in Somalia;
la situazione sanitaria in Myanmar;
i civili nella morsa della guerra nel Congo Orientale (RDC);
la malnutrizione infantile;
la situazione critica nella regione somala dell'Etiopia;
i civili uccisi o in fuga nel Pakistan nord-occidentale;
la violenza e la sofferenza in Sudan;
i civili iracheni bisognosi di assistenza;
la coinfezione HIV-TBC.

il rapporto di medici Senza Frontiere sulle 10 crisi umanitarie più gravi dimenticate dai media italiani

Niente da dire. Basta leggere il rapporto.
Solo un consiglio, strettamente personale: evitate di confrontare le notizie che trovate nel rapporto, con quelle che, secondo google, sono state le voci più cliccate dagli italiani nel 2008.
Si tende a sentirsi un po' di merda, dopo.

giovedì 23 aprile 2009

Come una sigaretta.

Attese. Attese in silenzio che passasse. Quando un ricordo così ti viene a trovare, non puoi scacciarlo. Oh, sempre che, beninteso, non ti interessi intrattenerti con lui. Ma quello non era uno di quei ricordi da trattenere a lungo. Non che fosse spiacevole in sé, anzi. Era, come dire, inopportuno. Ti rapinava l’attenzione e la messa a fuoco degli occhi. Ti ritrovavi a fissare un punto indefinito, ad un angolo di 40°, 45° sopra l’orizzonte. Niente di che, se ti trovi seduto su una poltrona di bambù con affaccio su una vigna all’ora del te’. Tutta un’altra storia se stai spiegando funzioni logaritmiche ad una classe inquieta. Forse riusciresti a guidare senza problemi, in uno di quei tratti rettilinei, lunghi e noiosi, che capitano sull’autosole. Ma su una provincialotta tutta curve e saliscendi, che ne so, fra Alessandria e Chiavari, be’ l’innocuo visitatore senza corpo ti spinge facilmente giù dalla scarpata. O contro un parapetto, se ti va bene. Senza contare l’imbarazzo se ti capita di ricevere la visita mentre sei in compagnia. Perché il ricordo inatteso produce una vibrazione e non puoi fare finta di essere soprappensiero o distratto – flirting with disaster, mister, aren’t you? - ché il tuo accompagnatore, soprattutto se è una donna con cui intrattieni al momento una relazione stabile, se ne accorge. E con una nonchalance finta come un’ecopelliccia di zibellino, gira graziosamente il capino – ma anche no – e lascia cadere nel tuo prolungato silenzio la più odiosa, abusiva, intrusiva, invasiva, stronza domanda di tutti i tempi: “…a cosa stai pensando?” Riprendi fiato. Più per la rabbia di essere stato tanato che per la vertigine di dover riatterrare su questo mondo, in questa macchina, con questa stronza, dopo aver volteggiato come un angelo, a eoni di distanza. Già, il ricordo inatteso sa essere inopportuno, come un’erezione spontanea ad una riunione di lavoro. Non solo ti distrae, ma ti costringe ad una serie di movimenti furtivi, sotto al tavolo, per alleviare la pressione o, magari, per dirimere incresciosi inconvenienti che non mi dilungherò a raccontare. Meglio lasciarlo passare, respirando come ti hanno insegnato al seminario di autoregolamentazione dei flussi emotivi inconsci psico comparativi del bambino interiore. Fffuh! E mai, sottolineo mai con la matita rossa e blù, mai andarlo a stuzzicare tua sponte. Intanto, non sarebbe più inatteso, ma provocato. E si passa facile facile dal colposo al preterintenzionale e subito al premeditato, aggravando la condanna in ragione esponenziale. Ma poi, quel genere di pensieri là, credimi, sono come parassiti. S’attaccano, ti sucano, s’incistano e fanno infezione, gonfiandosi come bubboni.
Così attese. Attese in silenzio che passasse. E passò. Lasciandolo con una ruga in più, intorno agli occhi. Perché questi viaggi su e giù per il tempo che si fanno senza muovere un dito, ti consumano . Come si consuma una sigaretta, in bocca a un turco.
Fffffffuh!

mercoledì 22 aprile 2009

oggi, mi sento un po' così...




Oggi è il giorno dedicato alla terra. Petrolini, uomo salace ma mai volgare direbbe " me ne stropiccio."
Io, che non disdegno la volgarità, anche a scopo terapeutico, con una diversa intenzione direi: me cojoni!
Noi, piccole formiche dannose, ci degniamo di dedicare un giorno all'anno all'alveo materno che ci sopporta da ere.
Resisto alla tentazione di ripetermi.
Auguro a tutti quelli che riceveranno questa mia, o capiteranno davanti a questo video, una buona visione.
Perché, di questi tempi, è una merce rara.

lunedì 20 aprile 2009

Coming out.

“Pronto?”
“…”
“Pronto?”
“…sì, ciao, mi domandavo se, davvero, era il caso di prenderla questa decisione…se non fosse, per caso, stato meglio ragionarci ancora un po’…non per evitare le responsabilità, certo, solo per, come dire, be’, sì, un certo senso di ineluttabilità delle conseguenze…”
“Ma, chi sei?”
“…certo, me lo sono detto anch’io: ma chi sei per ergerti a giudice? chi te lo dà il diritto di entrare, così, a piedi uniti, nella vita di un’altra persona…per quanto…no, il per quanto non conta, quando vai a vederla dall’alto 'sta cosa, non con un senso di superiorità, ma da un punto di vista più ampio, come dal loggione, nessun legame, nessun vincolo di parentela o affinità conta, in questi casi, e poi, a voler essere precisi, più che entrare nella vita di una persona si tratta di uscirne…”
“Cazzo, ma di che stai parlando?”
“…me lo chiedo anch’io, me lo chiedo anch’io, non credere, sono momenti bui, e fragorosi…anche se c’è solo silenzio adesso, ma non è il silenzio ad essere fragoroso, certo, è un luogo comune, ma ha un fondo di verità, solo che io non penso affatto alla retorica adesso, sento soltanto lo sciabordio di migliaia di pensieri contrastanti…”
“No! Ribadisco il concetto! Di-che –cazzo – stai – parlando? Lo sciabordio?”
“…hai ragione, sono sempre il solito, insopportabile narciso, uno stronzo, in parole povere…macché povere, uno stronzo è proprio quello che sono. come diceva lo Zingarelli? sostantivo maschile, pezzo di sterco, sodo e rotondo…accidenti non è una definizione, è una fotografia, potrei appiccicarla sulla carta d’identità, invece…”
“Invece?”
“invece te l’appiccico sulle mutande se non ti sbrighi ad andare al cesso, coglione! ma non ti accorgi che ti stai cacando sotto? bisogna essere davvero dissociati per non riconoscere quando si è pieni di merda!”
“Oooh, a bello, guarda che c’è gente che ci ha fatto una fortuna!”
“ceeerto, ma non si fa telefonare dalle proprie feci per espletare i suoi bisogni!”
“No, è vero, di solito le diffonde a reti unificate e la maggioranza applaude.”
"..."
"...Pronto?"
"..."
"Pronto, sei ancora lì?
"...certo che sono ancora qui, dove vuoi che vada, se non mi caghi?"
"Dai, su, non prendertela così, ora ti lascio andare. Vedrai, tutte le strade portano al mare..."
"...bella consolazione! che faccio mi porto il costume?"
"Meglio un bello smoking; puoi sempre incontrare una nave da crociera e rifarti una vita come cantante."

domenica 19 aprile 2009

Caccia alle fate.


Fate attenzione, un attimo, signore e signori. Se ricevete questo premio, che appare misterioso quanto innocuo, è per colpa di una fata, che nella sua incontinente generosità, spara incoraggiamenti e lodi che non riesce a trattenere in canna. Che volete farci, è fata così.
Mo', senza voler passare per quel cinico che non sono, anche se spesso mi ci atteggio, la ringrazio con lo schioppo!
E sparo ad altri sette destinatari quest'onere, senza colpo ferire, perché questo richiede 'sta catena...
Come diceva la filastrocca del singhiozzo? "...se mi ama se lo tenga, se non m'ama, mi rivenga!"
Insomma cari destinatari, siete voi, ora che avete la palla in mano:

nero positivo
futuro anteriore
guido catalano
insy loan e lo stato delle cose
mauro gasparini
sba
eio


Chi volesse accettare questo premio, dovrà attenersi al suo regolamento: linkare il blog che ha consegnato il premio e premiare, comunicandolo agli interessati, altri 7 blog meritevoli.

FATE COME VE PARE

venerdì 17 aprile 2009

Il peso.

Dovevi saperlo. Che uno sguardo aveva un certo peso. Che non puoi lanciarlo lì, dove l’occhio si appiccica come una di quelle foglie pelose, e passar via. Non basterà un colpo di vento a staccare la foglia pelosa del tuo sguardo, soprattutto se lo hai lanciato su una curva rivestita di velluto. Che, si sa, il velluto ci va a nozze con le foglie pelose. Ci fa, praticamente, un effetto velcro. E la proprietaria della curva rivestita di velluto se ne va in giro con la foglia pelosa attaccata alla curva, che, se il velluto per caso è scuro, tipo nero o blu notte, la foglia risalta un bel po’. E’ come andarsene in giro con un’impronta di vernice sui calzoni. Per dire. Ma chi porta il peso di quello sguardo? Verrebbe da pensare che solo la proprietaria della curva, la ricevente, detenga l’onere della chiappa marcata. Invece no. Specie se se n’è accorta, che sei stato tu, be’, allora quello sguardo pesa anche, diciamo, sulle tue spalle. E come fai a tornare a casa, da tua moglie, per dire, con il peso di quello sguardo. Perché su di te che l’hai lanciato, quello sguardo è confitto come una spilla da balia su una guancia, come facevano i punk, e ti arriccia e ti aggriccia la pelle del viso, in una smorfia che per metà è un sorriso, furtivo. Ma per l’altra metà è un aggrottamento della fronte, congelata. E forse non è solo paura di essere scoperto. Forse nemmeno paura di essere irriso, rifiutato, insultato o addirittura picchiato per quello sguardo. Forse è, piuttosto, la paura dell’immensa incolmabilità del desiderio, è l’horror vacui di quell’abisso sterminato su cui puoi affacciarti ogni volta che apri gli occhi, che già al solo pensiero tu, che scali persino le montagne senza chiodi, tu sì, ti cachi sotto. Ti si chiude la gola e sudi freddo. E tremi, nell’angolo più riposto della tua cantina. Perché sai, con un senso animale e disperato, che non ti basteranno mille vite per riempirlo. E sei destinato a soffocare, sopraffatto dall’inadeguatezza e dalla frustrazione.
E’ così che si decide di morire, al desiderio. E’ così che si decide, senza ripensamenti, di strapparsi gli occhi e gettarli via.
E il peso che getti via non è il peso di un paio di palle piene di liquido. Che anzi, a dirla tutta, ne getti via due paia, in un colpo solo.
E’ il peso di tutti quei milioni e miliardi di sguardi di desiderio, quelli lanciati e quelli che ti risparmi, rinunciandoci per sempre. Rinunciandoti, per sempre.
E’ il peso specifico, incommensurabile, della tua paura di vivere.

mercoledì 15 aprile 2009

Il pianto frutta.



Direi che molto da dire in più non c'è. Sarebbe meglio cominciare a fare qualcosa, prima che - come avverte questo annuncio del 2006 - sia troppo tardi.

giovedì 2 aprile 2009

Ieri



La fata riportava sul suo tumblr, corredandola con questa bellissima foto, una frase estratta dal Buongiorno di Gramellini.

Si diventa vecchi quando la nostalgia prevale sulla speranza e i rimpianti sui sogni


In un impeto di pessimismo, ho commentato subito che ero ufficialmente entrato nella categoria.
Oggi, come si usa qui in Italia, ritratto tutto.
Sono stato frainteso.
Querelerò chiunque dica il contrario.
Gliela faro vedere io.
La dentiera.

mercoledì 1 aprile 2009

Equità



Niente, dopo un po' di giorni di silenzio, volevo dire una cosa di sinistra.
Un riflesso condizionato. Anche se non so più da chi.

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