martedì 3 maggio 2011

Lo sai che i papaveri.


Non c'è niente che riesca a portare o a riportare sul mio viso un sorriso, anche se accennato, anche se solo interiore, quanto le spruzzate di papaveri, che accendono i campi di graminacee, gonfi di verde morbido, grazie alle piogge di aprile. Ogni volta che passo accanto ad una di queste macchioline, e, per fortuna, mi succede almeno due volte al giorno durante la settimana lavorativa, non riesco a non rimanere magnetizzato con lo sguardo sulla fuggevole impressione che ognuno di questi fiori è in grado di accendere, anche ad uno sguardo veloce. Come spiegavo a mio figlio, accompagnandolo a scuola, la loro bellezza è nella loro libertà. Non sono seminati né coltivati, nè vengono, per fortuna, raccolti per essere venduti. Nascono e vivono dove, ahimè, dovranno appassire dopo qualche settimana. Meravigliosamente incorniciati dall'argentea piumosità dei forasacchi, spesso accompagnati, o piantonati, dagli altissimi cardi. Niente di più, da dire, oggi.
Solo che vorrei dedicare un campo di papaveri a tutti i papà veri, come quello che ho avuto io.
E quello che ha avuto mia moglie, fino a qualche ora fa.

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