venerdì 25 settembre 2009

la dignità

Invecchiare a un semaforo,
pulendo vetri,
vendendo fazzoletti deodoranti accendini,
è qualche cosa che faremmo ancora,
per dare da mangiare ai nostri cari?


Qualcuno di noi la chiamerà umiltà, altri rassegnazione, altri ancora ineluttabile resa all'iniquità sociale contemporanea. Tutti avremmo in parte ragione.
Io la chiamo innanzitutto
dignità assoluta di essere umani.
E mi inchino.

mercoledì 23 settembre 2009

muri

hai mai provato a stare vicino a un muro ma non un muro semplice un muro di ghiaccio un muro di spalle e non solo a starci seduto vicino magari otto nove dieci ore al giorno e avere pure la necessità di parlarci perché per motivi che hai dimenticato o che non vuoi ricordare a quel muro potevi appoggiarti e quel muro sostenevi quando non era un muro e poi pensi all'autocommiserazione e la condanni pensi alla responsabilità e all'impegno e riconosci i tuoi limiti e le tue recidive abitudini poi pensi alla frustrazione ma poi pensi anche che l'umanità è un'altra cosa e che mandarsi a fare in culo talvolta è meglio e continuare ciascuno per la sua strada è probabilmente più salutare e stimolante e la cosa che trovi più dolorosa è che non ti sembra possibile nemmeno prendere l'iniziativa di parlare e ti ritrovi a scrivere una sequela di pensieri su uno schermo e a inviarli in uno spazio di cui non conosci gli esatti contorni e confini dove si affacciano occhi menti cuori talvolta che non hai avuto l'occasione di vedere e sentire e conoscere di persona persone che non hanno spesso nulla a che spartire con te se non la voglia in quel momento di perdere tempo a curiosare in uno spazio indefinito perchè magari quello definito che hanno intorno in quel momento è circondato da muri ma non muri semplici muri di ghiaccio muri di spalle
muri che per un motivo o per un altro per paura o per disgusto per pigrizia o per orgoglio nessuno si prende la briga di tirare giù


ps. se vuoi aggiungere della punteggiatura fai pure ma ricorda che anche un punto e una virgola possono essere dei muri ma non muri semplici muri di ghiaccio muri di spalle e in quel caso lo sai per certo chi è stato
a tirarlo su
quel muro

venerdì 18 settembre 2009

Un post reazionario


Che diritto avrebbe una specie di fricchettone come me che, alla soglia dei 50 anni, ancora porta i pochi capelli rimasti legati a coda di cavallo, indossa t-shirt con le scritte, sfoggia anelli e monili d’argento d’ispirazione etnica, che diritto avrebbe, ribadisco, di criticare l’abbigliamento, o meglio alcuni particolari vezzi dell’abbigliamento di alcuni gggiovani d’oggi? La risposta potrebbe essere semplice: nessuno, è soltanto un sintomo in più dell’invecchiamento. E, come si dice a Roma, del rifardimento* ad esso collegato. Tant’è! Ma siccome mi piace, quando posso, perseguire la sincerità, mi espongo ed espongo questo stralcio di riflessione a voce alta, estirpato da un superficiale scambio di battute, fatte fra colleghi nello spazio di una sigaretta.
Vi è mai capitato di vedere per strada qualche ragazzo camminare a gambe larghe, come se avesse mal calcolato la qualità del meteorismo, con la conseguenza di aerografarsi biologicamente la preziosa mutanda griffata? Penso di sì, è un’apparizione abbastanza comune che – per fortuna (della mamma del ragazzo, almeno) – ha però un altro motivo: la scelta stilistica di indossare pantaloni di almeno due taglie più grandi - oversize, se dice oversize, cazzo! -, acciocché il punto vita degli stessi circumnavighi lascamente la zona pubica o, addirittura, quella crurale. Così, se non vuole inciampare ad ogni piè sospinto o, alternativamente, esporsi a sanzioni, sfottò, se non addirittura tentativi di approfittare delle sue incustodite terga, il suddetto ragazzo è costretto ad arrancare con le cianche a compasso, per contrastare la legge di gravità che attira i suoi designer jeans verso le caviglie. Ora, questo è un eccesso del consolidato ritorno in voga della vita bassa. C’è chi si limita a mostrare l’orlo delle mutande senza mettere a rischio la sua incolumità. Ma ho osservato un’altra tendenza che, talvolta, si associa a questa: le scarpe da ginnastiaca, pardon, le sneakers portate parzialmente o completamente slacciate. Questa la capisco già di più; considerando l’affezione al capo griffato e al numero di ore per cui viene indossato, si pernette ad un maggior quantitativo d’aria di rinfrescare l’interno della scarpa, prevenendo reazioni chimiche deleterie su scala globale al momento in cui detta sneaker viene finalmente, comodamente estratta.
Be’, la quantità di rifarditismo da me raggiunto in questo post mi sta facendo sentire male, sono pieno di vergogna e di rimorsi per aver rinnegato un principio per cui, nella mia lontana adolescenza, ebbi a questionare con mio padre.
Per ciò verrò al sodo e condividerò con voi il pensiero che mi è balzato in testa quando ho confrontato mentalmente quel tipo di abbigliamento con quello che andava in voga a metà degli anni Settanta:
si vede che questa generazione non ha bisogno di scappare.
Da una carica, da un pestaggio, o semplicemente dalle ire di qualche vicino cui si era abbozzata la macchina con una pallonata.
Dovrei, quindi, pensare che la qualità di vita di questi ragazzi è migliorata.
Come mai mi riesce tanto difficile?

* Rifardito.
Una persona che si pente di qualcosa o cambia idea, che si tira indietro. Quasi sinonimo di infame

martedì 15 settembre 2009

Fate il vostro gioco

Quel simpaticone di Oscar Wilde, che aveva sempre una buona parola per tutti e un aforisma pronto per ogni occasione, sembra abbia detto che “Esperienza è il nome che l’uomo dà ai propri errori.”. Arsène Wenger, manager della squadra inglese dell’Arsenal, a modo suo un guru dei nostri tempi, ha avuto modo di affermare recentemente, riferendosi naturalmente al limitato e limitante universo del calcio, che “…l’esperienza è il fattore più sopravvalutato.”. Il padre di tutti medici occidentali, Ippocrate di Coo, arriva ad affermare che l’esperienza è addirittura ingannevole.
On the other hand, troviamo un certo Aristotele che promuove l’esperienza a metodo principale della conoscenza, sostenendo che “Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo”. Gli fa eco un altro pezzetto da novanta della ricerca e dell’arte, tal Leonardo di ser Piero, più noto come da Vinci, o Leonardo* tout court , che spezza una lancia definitiva a favore dell’esperienza, dichiarandola madre della sapienza. L’imparzialità mi impone di portare un altro sostenitore a favore dell’esperienza e, per fare 3 a 3, scelgo un’altra bella mente contemporanea, il versatile Paul Valery, che ci riconsola tutti con la gnomica “Una cattiva esperienza vale più di un buon errore.”
Ora, grazie a Google e a Wikipedia – cui Paul the Wine Guy invita giustamente ad associarsi per sostenerne il preziosissimo lavoro – il batti e ribatti potrebbe andare avanti per molte oziose righe. Io che, come suole**, ho nientedadire, farò un’eccezione e snocciolerò la mia banalità al riguardo.
Vista l’ineluttabilità, nella vita, di fare esperienze che possano, con comune sentire, essere definite brutte o cattive, be’, queste dovrebbero essere sempre considerate un tesoro da condividere per favorire la crescita e l’evoluzione e mai un’arma da brandire per chiudere un discorso o castrare un naturale istinto di esplorazione e scoperta.
Io me so’ capito.




* da non confondere con l'attuale "tennico" del milan.
** ma anche come suola, al singolare,anzi sòla.

giovedì 10 settembre 2009

Breve


Tipo che la presentazione, anticipata di un giorno - come al solito - incombe, si montano layout freneticamente, contro il tempo, bestemmiando per la colla che non incolla, i fogli che si appiccicano storti, la plastificatrice che ha finito il rullo, e arriva lui, di cui non farò il nome, e fresco fresco, con la nonchalance di un posteggiatore abusivo, incalza, andiamo andiamo stiamo andando forza andiamo, tutto questo da metà corridoio avvicinandosi verso il teatro di guerra, dove lo spazio vitale si restringe e se non si respira napalm è solo perché non serve ad attaccare i layout, quando alfine egli arriva in trincea e cerca di intrufolarsi oltre il muro di spalle operose, chine sul cutting mat, io improvviso...

porgendogli con determinazione i due rotolini di nastro adesivo con cui stavo giocherellando, gli dico:

"Tiè, va'!"

"Cosa devo farci?" si perplime egli, curioso

"Va' a scocciare da un'altra parte."


Per dire, gioco di squadra è anche questo, sparare la cazzata giusta al momento giusto.

lunedì 7 settembre 2009

Ottuso


Sicuramente suona meno volgare di attufato, ma certamente non sembra un complimento.
Non è un'offesa, però, letteralmente. E’ una qualità particolare, che può accompagnarsi a vantaggi e svantaggi a seconda dei punti di vista, degli stati d'animo o più semplicemente dalle situazioni contingenti che si incrociano.
Avere la capa ottusa, dal raffreddore che ho io per esempio, quando hai bisogno di escludere il chiacchiericcio tipico dell'open space dalla tua ricezione, per poterti concentrare sul lavoro o su un post inconcludente, non è un gran male, anzi.
E’ al momento di chiedere ferie o aumenti di stipendio che la capa ottusa si trasforma in nemesi.
Ma non stavo parlando della mia, eh. Sta ancora in ferie.

mercoledì 2 settembre 2009

Momenti mistici


Sono dei momenti inattesi, che ti accarezzano alla sprovvista, con meraviglia. Come svegliarsi all’alba e sentirsi invitati ad uscire fuori, nella natura, con la natura. E trovare subito, come guidato dall’istinto, una stradina bianca, lontana dalle case, circondata solo dalla macchia profumata della Sardegna e da una cortina di canne che protegge un rio da sguardi predatori. I passi, ancorché stentati e affannati, senza pratica, riescono persino ad avere un ritmo armonioso, sulla terra battuta. Tanto che una volpe, piccola, uscita dalla macchia, solleva curiosa la testa verso di te, che aggiungi una nuova vibrazione al suo paesaggio sensoriale. E non scappa subito, no, resta un attimo a guardarti prima di infilarsi di nuovo tra i cespugli. Sono momenti come questi, sono queste epifanie, a farti alzare la testa. E lì, allora, nel cielo ancora grigio pallido, vedi la luna piena affacciata sul mare, calmo, proprio davanti a te. La meraviglia, in questi momenti, raggiunge livelli da smarrimento, da incredulità. Pensi che alle tue spalle sta per sorgere il sole, mentre davanti a te c’è ancora la luna piena. Ti gira quasi la testa. Ti senti una formica che sta correndo su una riproduzione gigantesca dell’icona principe del Tao, uno Yin Yang in 3D, che si compone dinanzi a te mentre lo attraversi. Anche se sei un inguaribile agnostico, un ateo convinto o semplicemente non te n’è mai fregato un cazzo di questioni spirituali, ti senti invaso da uno strano sentimento. E l’oggettiva potenza del momento, la potenza della natura al risveglio, prima che i traffici umani - a parte il tuo – la contaminino, ti impedisce di scacciarlo via ‘sto sentimento, questa serpeggiante tentazione mistica. Ed è così che vedi tra la macchia un varco. Intuisci un sentiero. E là, in cima alla collina, intravedi un passo. A questo punto sei fatto e, incurante dei rovi che ti carezzano braccia e gambe con un tocco alquanto acuminato, ti incammini verso la vetta, ubriaco ormai di trance mistica. Più ti addentri nella natura, più dimentichi i tuoi dubbi sulla reale esistenza di Dio. E’ solo arrivando alla vetta, però, che ne hai la certezza. Quando trovi un cancello di ferro con un cartello che dice “proprietà privata”a chiudere l’unica possibilità di valicare la collina, è allora che affermi finalmente a pieni polmoni - ancora affannati per la salita – la tua certezza. Sì, Dio esiste. Altrimenti, come esisterebbe il prosciutto di Parma?

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