mercoledì 23 dicembre 2009

infischiarsene

secondo me, certe volte bisogna infischiarsene delle buone maniere e approfittare del buon umore per levarsi dei sassolini dalle scarpe e tirarli nella tazza di caffè di chi se lo merita, perché se ne n'è infischiato di te troppo spesso.
secondo me, infischiarsene dovrebbe essere una materia di studio, ma a numero chiuso, perché c'è troppa gente che se ne approfitterebbe per portarsi i compiti da casa e rovinare la famiglia.
secondo me, quando uno se ne infischia con coscienza non fa male a nessuno, il problema è che di solito se ne infischia solo chi non ha coscienza e fa male a tutti.
secondo me, è meglio infischiarsene un tot di volte che assamaritanarsi tutta la vita e poi fare il botto col Kalashnikov in un ufficio postale una volta sola infischiandosene di chi c'è. di solito quella volta là basta a troppa gente che non c'entra un cazzo.
secondo me, me ne infischio anch'io, ma per fortuna faccio poco danno.
secondo me, ho detto una cazzata.

lunedì 21 dicembre 2009

Il tofu, questo misconosciuto.


Allora, sembra che la vena culinaria (absit iniuria verbis – de sti tempi è meglio specificare) abbia preso il sopravvento in questo blog, un po’ per pigrizia mentale, un po’ per assuefazione festiva, un po’ perché sentivo la necessità di spezzare una lancia a favore di un prezioso alimento macrobiotico che viene, secondo me ingiustamente, bistrattato dai più.
Lo spunto me l’ha fornito l’autorevole Stark che qui ne decantava soprattutto le qualità lassative, peraltro tutte da dimostrare. Mo’, non voglio dire che il tofu di per sé, al naturale, sia un coacervo di celestiali sensazioni organolettiche. No, è un concentrato di proteine vegetali, ha un basso valore calorico, è del tutto privo di colesterolo, è molto digeribile ed ha un potere rinfrescante e disperdente – prezioso per equilibrare gli eccessi di un’alimentazione carica di stampo continentale – ma fondamentalmente è una spugna. Nel senso buono, però, perché è in grado di assorbire il sapore degli aromi e dei condimenti con cui lo si tratta. Il tofu crudo non è una delizia per il palato – a meno che tu non sia un monaco zen in ritiro con voto del silenzio, ma, anche in quel caso è più un obbligo che una scelta - ed non è quello il modo consigliato per consumarlo. Anche nella zuppa di miso – probabilmente quella cui si riferiva Stark – ha il suo perché: si tratta di un ingrediente delicato che ha un fascino probabilmente meno riconosciuto della stracciatella, ma delle qualità sicuramente più accertabili. Comunque, de gustibus non est sputazzella, diciamo a Roma, quindi mi limiterò a condividere i modi in cui a me piace mangiarlo, con gusto e, credeteci o meno , desiderio.
Come dicevo, il tofu è una spugna, e questa sua qualità proteiforme gli consente di essere inserito persino in ricette nostrane con risultati sorprendentemente piacevoli. Una mia amica cuoca, lasciandolo per un’oretta sotto il sale affumicato quindi friggendolo a cubetti è riuscita a produrre una pregevole pseudo carbonara. Forse l’errore è quello di chiamarla carbonara, comunque l’esito finale è sesquipedalmente più povero di grassi animali dell’originale e a qualcuno può far comodo. Io ho provato a farlo alla pizzaiola, dopo un adeguata marinatura, e assicuro sull’appetibilità. Altrettanto per il trattamento “a trippa” che si usa per le uova, con il sughetto di pomodoro arricchito dall’aroma di mentha. Se devo essere sincero, però, il modo in cui lo preferisco è quello più semplice, saltato, preferibilmente nella wok, con le verdure. Mio figlio –5 anni e mezzo – ne va pazzo (signore mamme in ascolto, se ci siete, tenetene conto). E’ una ricetta di semplicissima esecuzione che può essere ulteriormente semplificata se si va davvero di corsa. L’avevo già scritta per un amico, la incollo qua sotto con un ultima precisazione: il tofu fara anche cagare, ma solo come risultato di un ottimo metabolismo.
Ah, se la Sidgi, non si offendesse di suggerirmi un bianco adeguato alla ricetta - ma anche un rosso o un rosato o una birra, ché il tofu è di bocca buona - sarebbe un bel regalo di natale.
Eccola qua:

TOFU ALL’IMPRONTA.

Si chiama così perché puoi farlo anche senza una adeguata preparazione. Come quando a scuola la pr'essoressa te seccava in latino il lunedì mattina dopo il week end di bagordi.

Ingredienti :
un panetto di tofu nature, o seta – quello bianco, semplice, liscio e sciapo. (300 g)
shoyu
vino, bianco o rosso, da cucina o anche un avanzo di quello buono.
acqua, della hannella.
aglio, alcuni spicchi, a piacere.
spezie, secondo i gusti. io preferisco: erba cipollina, santoreggia, curry – se sono in vasetto – alloro se fresco. o zenzero va bene sia fresco (1 mignolino) che in polvere (1 pizzicone)
olio, di semi (sesamo, è il top, girasole va bene uguale) o extra vergine. comunque poco.

La procedura standard prevede che per prima cosa affetti il tofu, appoggiandolo come un mattoncino sul tagliere e realizzando delle sottilette – dai 3 ai 7 mm – per poi adagiarle nella marinata che vai così a comporre: in un bicchiere grosso da osteria, ma anche quelli da acqua vanno bene, versi un dito, un ditemmezzo, quasi due di shoyu; aggiungi una quantità uguale di vino; riempi, ma non fino all’orlo, d’acqua. Se volessi fare le hose per benino, dovresti versare questo liquido nel blender del minipimer, aggiungere 1 o 2 spicchi di aglio sbucciato, le spezie a pizzichi, e un filofilofilo d’olio, per poi frullare tutto finché l’aglio non è spezzettato. Dopodiché distribuisci le fettine di tofu sul fondo di un contenitore e le copri con la marinata. Più sta, mejo è; ma mezz’ora può bastare. Quindi, tiri su il tofu, che poggi su un piattino - un tagliere, quello che vuoi – e metti a scaldare la wok o una padella antiaderente bella larga a fuoco vivace.
Appena è calda, versi un mestolino di marinata a sfriggere e ci fai saltare il tofu per il tempo sufficiente ad assorbire il liquido, solitamente meno di un minuto, poi fa spazio per la prossima saltata. Procedi così fino all’esaurimento delle fettine. Se hai fatto bene i calcoli, il liquido basta. Sennò ti tocca rifarlo, ma non sempre ce s’azzecca con le dosi.

Versione VELOCE....una volta che hai messo i 4 liquidi nel bicchiere (sho, vi, acq, ol) ci butti dentro gli spicchi d’aglio a pezzi, le spezie, e giri con una forchetta. Fai scaldare la padella bene, versi la metà del liquido, tutte le fettine – che saranno semi sommerse – e le fai andare sempre a fuoco alto fino all’assorbimento. Quindi le giri sull’altra faccetta e ripeti l’operazione con l’altra metà del liquido. Fatto.
Servire possibilmente caldo (è sottile, si fredda subito) con contorno di verdure a piacere, crude (insalata o insalatini) e/o cotte (abbinamenti molto buoni: carote scottate al tahini, funchi sciampigno’ trifolati, verza agliogliopeperoncino o sauerKraut saltati).
Facoltativa la presentazione con salse come moutarde à l’ancienne, tahin diluito con acqua tiepida, limone e miso, oppuramente un filo d’olio d’oliva accrudo. Peperoncino, se piace.

venerdì 18 dicembre 2009

se famo du' spaghi.


oggi nientedadire, ieri nientedadire, domani nientedadire. questo minimalismo, macché, nichilismo, macché, soncazzismo, mi strema. allora, pe' nun sapé né legge' né scrive', posto una ricetta, ché la ricettazione mi dicono che frutta, e qualche volta verdura. mo', ho detto spaghi, ma ho cambiato idea, facciamo pennette, che si gestiscono meglio, anche nel riciclo - attenzione all'ambiente eh! - e, visto che ci sono, mi spingo a consigliare una pennetta di farro, magari demeter o alce nero, che regge bene la cottura. metto su l'acqua, senza esagerare - vedi sopra - anche perché una pasta integrale biologica non va lavata e poi scolata, ma cotta in una giusta quantità d'acqua che, recuperata con una scodella, potrebbe persino essere riutilizzata per un brodo. mentre l'acqua si lascia scaldare dalle carezze del fornello, io accarezzo un radicchio di chioggia, quello rosso e tondo, sfogliandolo con cura in una centrifughina per nettoyarlo come si deve. mentre le foglie scolano per bene, capo - sì capo, a roma se dice capo - un paio di spicchi d'aglio, li taglio, e li metto nell'oglio (bear with me)...rewind, allora, verso qualche cucchiaio di olio (straverggine d'oliva, chettoodicaffà) in una capace insalatiera - anche se fai la pasta per te o per due, l'inzalatiera ha da esse capace, per smucinarti meglio, piccina mia - i suddetti spicchi d'aglio, tagliati a metà per il lungo. pesto nel mortaio 6 o 7 bacche di ginepro e un pizzico di semi di finocchio, aiutandomi con una presina di sale grosso, che contribuisce a macinare gli aromi che dovranno ingentilire e alleggerire la necessaria portanza dell'aglio. spolverizzo il macinato di sale e spezie nell'olio, smucino con la forchetta - la frusta mi sembra eccessiva, per ora - con la quale spezzerò, sempre dentro l'olio ma solo se non posso farne a meno, un peperoncino rosso, piccolo, secco e piccante. ora il radicchio dovrebbe essere asciutto, lo strizzo delicatamente con le mano - plurale romano derivante dalla 4^ declinazione - e prendendone un po' di foglie per volta, arrotolandole come un involtino sul tagliere, le affetto fine fine fine, diciamo in striscioline di mezzo centimetro max. verso le suddette striscioline porpora e bianche nella marinatina che attende nell'insalatiera di cui sopra, arravugliandole con la forchetta nell'intingolo. l'acqua bollirà, quindi non vede l'ora di accogliere le pennette, ma prima verso una bella presona di sale, grosso, per farla trasalire di desiderio, blub blub blub. ora, mentre l'acqua fa il suo dovere, io faccio il mio, gratto il parmigiano, apparecchio e mi verso un paio di dita di rapitalà ghiacciato nel bicchiere, per accogliere la unio mystica di pasta e condimento con la giusta dose di ebbrezza iniziatica. scolo la pasta, la sgocciolo bene con un paio di colpi di polso e la verso fumante nell'acquasant...er nell'insalatiera, per far sì che il calore sublimi gli aromi senza far appassire i serpentelli porpora di radicchio. e smucino. e smucino. e smucino finché non mi appare che l'unione si sia compiuta e sia pronta per essere celebrata - un altro po' di vino - e consumata.
é una cosa che si prepara in poco tempo, ma non vuol dire che vada fatta in fretta. n'est ce pas?

lunedì 14 dicembre 2009

Wovon mann eccetera eccetera.

Parafrasando Wittgenstein,
sarà pur vero che ci sono cose di cui non si dovrebbe parlare,
ma oggi mi farebbe davvero piacere dire una cosa che mi ha fatto piacere,
anche se non si dovrebbe dire che mi ha fatto piacere quella cosa che vorrei dire.
Però la dico: Mi ha fatto piacere.
E mo', identificatemi.

venerdì 11 dicembre 2009

Senza pelle.


Restiamo indifesi, quando consegniamo a qualcuno la nostra verità più nascosta. La verità vi renderà liberi, si legge nelle scritture, ma da una verità così vulnerabile è difficile sentirsi irresistibilmente, irrinunciabilmente attratti. D’altra parte, quante volte troviamo più comodo rimanere schiavi di una bugia, di una finzione, per anni, decenni, per una vita intera, piuttosto che camminare quei pochi* metri sui carboni ardenti che, quasi sempre, costituiscono il passaggio obbligato per accedere nello sconfinato spazio della verità? Aperto, scoperto, da vertigine. La pelle brucia, sotto lo sguardo di accoglie, raccoglie o intercetta la nostra esternazione. Le gambe, le mani, la voce, tremano. Il respiro si fa corto, concitato, spezzato da sbuffi e sospiri. Questi ed altri ameni sintomi ci accompagnano, quasi sempre a prescindere dalla reale reazione del ricevente della nostra verità, sia esso uno, centomila e persino nessuno. Non è infrequente che, dopo qualche attimo di penosissimo silenzio, arrivi un sorriso, un abbraccio, un applauso, invece del linciaggio che aspettiamo, quando scegliamo di liberare la nostra verità.
(prigionieri della menzogna, ci affanniamo a frapporci fra il mondo degli ipotetici interessati ed essa - come un bambino che si ingegna a nascondere il buco che si è fatto sui calzoni buoni giocando a pallone, tenendo sempre la gamba sana davanti a quella lacera - costruendo un paravento di bugie e sotterfugi, inconsistente da un lato ma irreparabilmente vincolante. Qualcosa a metà tra la ragnatela e il filo da pesca. Basta un soffio di vento per farla volare via, ma la sua stretta sega i polsi come il nylon. )
Mentre mi chiedo perché hanno preferito farci crescere nella paura invalidante del giudizio invece di farci crescere nella forza liberatoria della libertà, alzo la testa dal foglio e guardo fisso davanti a me. Sulla parete opposta dello studio è appoggiato il cavalletto di mia moglie. Ma quello che vedo io è solo una croce di legno.


*tutto è relativo, naturalmente; anzi, soggettivo.

giovedì 3 dicembre 2009

Il convitato d’aria.

Tu mi parli, io non ci sono. Tu mi spieghi mi argomenti mi illustri un progetto specificando i dettagli, io non ci sono. Tu mi mostri le ipotesi le diverse alternative gli interventi che mi coinvolgono, io magari annuisco ma non ci sono. Tu partecipi a riunioni esprimi i tuoi pareri le tue perplessità avanzi obiezioni e controproposte guardi dalla mia parte per cercare un sostegno, io al massimo faccio spallucce ma non ci sono. Tu ti incazzi sostieni le tue tesi difendi le tue idee litighi con tutti ti attiri i malumori ti fai il sangue amaro, io non ci sono. Tu torni a casa con una smorfia di disappunto disgusto dolore stampata indelebilmente sulla faccia, io per fortuna non ci sono. Tu ti allontani ti chiudi ti volti dall’altra parte, io no. Io non ci sono, ricordi? Tu pensi che sia comoda questa assenza. Certo, come è comodo qualsiasi anestetico. Lo scarti e lo mandi giù al massimo con un sorso d’acqua. Questa assenza è un peso che copre un dolore. Se io sono un convitato d’aria nella tua vita, il convitato di pietra nella mia, sono io. Quando non ci sono.

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