giovedì 23 aprile 2009

Come una sigaretta.

Attese. Attese in silenzio che passasse. Quando un ricordo così ti viene a trovare, non puoi scacciarlo. Oh, sempre che, beninteso, non ti interessi intrattenerti con lui. Ma quello non era uno di quei ricordi da trattenere a lungo. Non che fosse spiacevole in sé, anzi. Era, come dire, inopportuno. Ti rapinava l’attenzione e la messa a fuoco degli occhi. Ti ritrovavi a fissare un punto indefinito, ad un angolo di 40°, 45° sopra l’orizzonte. Niente di che, se ti trovi seduto su una poltrona di bambù con affaccio su una vigna all’ora del te’. Tutta un’altra storia se stai spiegando funzioni logaritmiche ad una classe inquieta. Forse riusciresti a guidare senza problemi, in uno di quei tratti rettilinei, lunghi e noiosi, che capitano sull’autosole. Ma su una provincialotta tutta curve e saliscendi, che ne so, fra Alessandria e Chiavari, be’ l’innocuo visitatore senza corpo ti spinge facilmente giù dalla scarpata. O contro un parapetto, se ti va bene. Senza contare l’imbarazzo se ti capita di ricevere la visita mentre sei in compagnia. Perché il ricordo inatteso produce una vibrazione e non puoi fare finta di essere soprappensiero o distratto – flirting with disaster, mister, aren’t you? - ché il tuo accompagnatore, soprattutto se è una donna con cui intrattieni al momento una relazione stabile, se ne accorge. E con una nonchalance finta come un’ecopelliccia di zibellino, gira graziosamente il capino – ma anche no – e lascia cadere nel tuo prolungato silenzio la più odiosa, abusiva, intrusiva, invasiva, stronza domanda di tutti i tempi: “…a cosa stai pensando?” Riprendi fiato. Più per la rabbia di essere stato tanato che per la vertigine di dover riatterrare su questo mondo, in questa macchina, con questa stronza, dopo aver volteggiato come un angelo, a eoni di distanza. Già, il ricordo inatteso sa essere inopportuno, come un’erezione spontanea ad una riunione di lavoro. Non solo ti distrae, ma ti costringe ad una serie di movimenti furtivi, sotto al tavolo, per alleviare la pressione o, magari, per dirimere incresciosi inconvenienti che non mi dilungherò a raccontare. Meglio lasciarlo passare, respirando come ti hanno insegnato al seminario di autoregolamentazione dei flussi emotivi inconsci psico comparativi del bambino interiore. Fffuh! E mai, sottolineo mai con la matita rossa e blù, mai andarlo a stuzzicare tua sponte. Intanto, non sarebbe più inatteso, ma provocato. E si passa facile facile dal colposo al preterintenzionale e subito al premeditato, aggravando la condanna in ragione esponenziale. Ma poi, quel genere di pensieri là, credimi, sono come parassiti. S’attaccano, ti sucano, s’incistano e fanno infezione, gonfiandosi come bubboni.
Così attese. Attese in silenzio che passasse. E passò. Lasciandolo con una ruga in più, intorno agli occhi. Perché questi viaggi su e giù per il tempo che si fanno senza muovere un dito, ti consumano . Come si consuma una sigaretta, in bocca a un turco.
Fffffffuh!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Lei mi piace come scrive.
Ma... a cosa stavi pensando?
:P

vix ha detto...

dovrei chiederlo a lui. seh.
no, hai ragione tu, è sbagliato. e lo sapevo.
sono pigro:P

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