mercoledì 3 giugno 2009
La terra di mezzo.
Entri in una sauna, tutto vestito. Epperò hai subito la sgradevole sensazione che, al posto del vapore balsamico dei trucioli di betulla, intorno a te graviti la nuvola mefitica di un camion esausto, che ormai va più ad olio che a gasolio. Il cielo è grigio paro, senza uno squarcio d’azzurro, e alle quattro di pomeriggio sembra già sera. Le voci forti, i modi bruschi, le buche nell’asfalto grosse come doline. E pensi che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nella definizione “terzo mondo”, pensi che la classifica dovrebbe essere stilata al contrario. Quanto più ti allontani dallo stato originario, primitivo, tanto più il mondo in cui vivi dovrebbe essere contrassegnato da un numero crescente. Foresta pluviale ancora non raggiunta Google Maps? Questo è il primo mondo! Mentre la qualifica di terzo – o quarto – mondo toccherebbe più a noi che viviamo in un supermercato, dove tutte, o quasi, le sensazioni sono incellophanate, adulterate, presumibilmente sterili. Ma questa specie di girone dantesco che appare essere Port au Prince è più probabilmente una Terra di Mezzo. Ci sono gli orchi Uruk-hai, sotto le spoglie di corpulenti e fatiscenti camion Mack, maggiori invasori delle carreggiate e della troposfera locale. Avanti, indietro e tutto intorno a loro brulicano altri orchi e mezzi orchi di lamiera, rumorosi, fumosi, ammaccati da mille battaglie. Alcuni invece sono coloratissimi, ricoperti di scritte a carattere religioso, con diffusori acustici che fanno tremare il terreno sulle note di cavernoso rap creolo. E sono pieni di gente a bordo. Si chiamano Tap-Tap, ci diranno poi, sono degli autocarri, quelli con il cassone per intenderci, e sono il mezzo di trasporto pubblico più diffuso di Haiti. Sono delle enormi scatole di sardine – con tutto il rispetto per i passeggeri – che partono quando sono piene e si fermano quando uno degli strizzati a bordo batte con la mano sulla lamiera “tap, tap...”, con una forza sufficiente a sovrastare i decibel del sound system che presumibilmente assorda il conducente. Tutto sommato un tragitto conveniente, finché rimani vivo. Le carreggiate sono intasate in entrambi i sensi di marcia e il nostro autista, per evitare almeno qualche tratto di questo ineludibile traffico, non disdegna un po’ di fuoristrada; praticamente qualsiasi strada secondaria non asfaltata è un livello 1 del Camel Trophy, con l’aggiunta di cumuli di rifiuti per arricchire il percorso. Ma questo è un alltro discorso. Per fare pochi chilometri c’è voluta un’ora, è sceso il buio che attutisce il degrado, il traffico cala mentre la jeep continua a salire. L’aria è più leggera a Petion Ville, periferia collinare di Port au Prince dove a novembre scorso è venuta giù una scuola totalizzando 93 vittime. Siamo quasi arrivati, ci dicono. Infatti, dopo qualche minuto, oltre un piccolo ponte sulla ravine – il greto di un torrente, dove i senzatetto abitano provvisioriamente fino alla prossima piena – il consolante l’emblema di Medici Senza Frontiere spicca rosso su un alto cancello di metallo bianco. Meno consolante è il doppio giro di razor wire che guarnisce l’alto muro di cinta della casa base. Eppure MSF , ci dicono, è forse la più amata fra le numerose ONG che pullulano nell’isola. Infatti le guardie all’interno non sfoggiano i fucili a pompa che abbiamo visto in mano ad altri guardiani. Benvenuti a destinazione. E’ solo il primo assaggio, ma si preannuncia saporita questa parentesi creola.
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3 commenti:
Tutto ciò intrista.
:(
Avanti, mi hai messo voglia di sedermi per terra ad ascoltarti, vai avanti. Besos
si, dai, vai avanti...
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