mercoledì 28 gennaio 2009
Te no uei ni?
Le quattro sillabe che compongono il criptico titolo di questo post non sono la trascrizione di qualche dialetto salentino.
Sono altresì - come i più eruditi di voi, e ribadisco di voi, averanno digià intuito - l'apertura di un haiku di Mukai Kyorai, anche detto Rakushisha, che abbandonò a 23 anni la katana da samurai per passare alla penna da poeta, divenendo discepolo di Matsuo Basho il fondatore di questo ammirato quanto abusato genere poetico. Abusato e come, in forza della sua brevità e apparente semplicità, da milioni -forse miliardi, dipende se li contiamo in lire...- di aspiranti poeti, fra cui il latore della presente.
Ma, tranquilli, non sono qui per proporvi alcune delle mie composizioni, né per offrirvi una sinossi d'accatto sull'haiku, ché già ce n'è a bizzeffe su tutto universo webbo. Haikualcosa da dire? Butta giù ste 17 sillabe, 5+7+5, e il gioco è fatto! La più nitida delle stronzate assume subito un nebuloso fascino da terme bionsen (onsen), che già ti sembra di vedere le scimmie albine immerse fino al collo nell'acqua fumigante, mentre intorno la neve ammanta (ammazza quanto ammanta 'a neve in Giappone) il monte Fuji.
Bon, quello che volevo porgervi io era solo un piccolissimo esempio della grandezza dell'haiku, che riesce nel suo apparente minimalismo ad attraversare i secoli, scodellandoci polaroid solo apparentemente banali. In realtà, basta abbandonare il pregiudizio, porsi in uno stato di quiete interiore e l'haiku ci rivela tutta la sua essenza di multistrato lamellare. Tu pensi di essere di fronte ad una scena bucolica - fra le poche regole, non sempre rispettate, dell'haiku c'è/era quella di ritrarre scene di natura tout court e comunicare l'emozione che ne scaturisce senza far ricorso a metafore o altri artifizi - dicevo, pensi di trovarti di fronte ad un'istantanea di campagna, invece stai ricevendo, confidenzialmente, intimamente, una riflessione esistenziale del poeta, una sua analisi psicologica del sentimento, uno spaccato della realtà sociale dell'epoca.
Figo, no?
Allora, vi ho tediato abbastanza, preparatevi ad accogliere questa perla di Rakushisha, prima nella trascrizione in metodo Hepburn dell'originale, quindi nella versione italiana di Carla Vasio:
Te ne uei ni
kanashiku kiyuru
hotaru kana
Triste
una lucciola si spegne
sulla mia mano
Capito? Già nel 17° secolo, il mestiere più antico del mondo era tenuto in ostaggio dai precursori di Bilancia e Stevenin.
Tutta la mia solidarietà alle sorelle prostitute, costrette nella vita a dipendere dalle teste di cazzo.
PS: a scanso di equivoci, la foto che apre il post non è un simulacro dell'organo, ma un cappello ed un impermeabile dell'epoca Edo , che si trovano nel cottage di Kyorai, luogo in cui il poeta raggiunse l'illuminazione in seguito ad una tempesta che fece cadere tutti i frutti dei suoi 14 alberi di cachi. Capito? Ancora si dubita dell'energia eolica...
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7 commenti:
La versione italiana degli Haiku sono le Six word stories.....
Ecco, tutto qui.
Ad esempio:
specchio rotto,
agitando schiuma da barba.
A Vittò, te stai fuori come i colli d'oca delle grondaie, ma ciai na curturaccia che me s'arrizza il pelo sur coppino.
In romanesco come sarebbe?
Ahò, ma 'ndò vai?
Vo a ffà 'n giro di già,
machette frega?
@ confinidiversi: grazie della segnalazione, Andrea, mo' cerco di saperne di più :)
@ Gio': ammazza quanto hai improved your Roman ;-)
vediamo: 1^ riga - corretta
2^ riga - anzomma...
3^ riga - corretta
Ah! ricordarsi di chiudere con il saluto più in voga fra noi ggiovani:
"Bella pe'tte!" oppure "Bella pe'vvoi!" oppure "Bella pe'ttutti!"
LOL
ne uccide più la penna della spada
caro Oyasuminasai, l'adagio da lei citato è una fanfaluca, ;-)
tanto per citare uno dei miei blogger preferiti (lo Zio che si pensava Bonino)
Asa karikù
bo do inujasha
arigatò.
Che avrò voluto dire?
Mi hai voluto prendere per giro...
con sei parole indonesiane mischiate ;-)
san google m'aiuta sempre, amme'!
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