Premessa.
Devo avere qualche legame atavico e sconosciuto
con l’Ile de Beauté, perché ogni volta che ci torno mi ritrovo sempre più
intento a fissare, avec des regards familiers, le sue montagne, i suoi scogli,
i suoi sassi. E’ stata la meta del mio primo viaggio dell'età adultà (zaino in spalla e capello ancora corto di naja) e, con la
vacanza di quest’anno, ho completato il giro dell’isola, intendendo il
perimetro carrozzabile, con qualche breve ma intensa incursione all’interno.
Parlare della Corsica in maniera estesa meriterebbe un lavoro di documentazione
che non ho avuto ancora modo e tempo di affrontare. Per questo mi limiterò ad
alcuni spunti, o spuntature, o meglio ancora figatelli, delle mie impressioni
di incontro con la terra Còrsa, distribuendoli in ordine assolutamente sparso
ed incoerente, comme il faut.
1.L’ossassione.
Forse dovrei più correttamente parlare di ciottoli - levigati, multicolori, tondeggianti - che compongono molto frequentemente le
spiagge della Corsica, perché è per essi sassi che io provo una vera e propria
ossassione. Ma non sono solo quelli a catturare la mia vista e il mio tatto.
Anche le scaglie polverose e setose di pietra serpentina, che si staccano dalle
pareti rocciose della montagna corsa, esercitano un’ipnotica fascinazione su di
me. Sdraiato su una spiaggia di cui non farò il nome, non potevo fare a meno di
allungare in continuazione la mano e accarezzarle, selezionandone di volta in
volta di differenti forme e grandezze. Alcune di queste pietre sembrano avere
un’impugnatura anatomica, tanto si adattano perfettamente all’incavo della mia
mano. Altre sembrano fatte apposta per la stone therapy, piatte, lisce,
regolari, del peso giusto e già belle calde. Altre ancora avrebbero potuto
essere scelte da Don Juan, per sollecitare gli organi interni e indurre
il silenzio interiore in quel chiacchierone di Carlos Castaneda, durante le sessioni dell’arte del Sognare. Ogni tanto –
spesso – non resistendo alla tentazione di un particolare colore, variegatura,
texture, ne raccoglievo uno e lo mettevo in tasca, in borsa o nel portaoggetti
dello sportello della macchina. Per tutto il viaggio di ritorno, ogni curva
sembrava l’inizio di “Moby Dick”. Dei Led Zeppelin.
A suivre (s'il vous plait).
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