venerdì 27 settembre 2013

Vent'anni dopo.


Grazie a Enzo Dahita, che mi parlò per primo di quel posto in Toscana, dove si mangiava vegetariano, si stava tranquilli, ma gli brillavano gli occhi al ricordo. Grazie ad Alessandra, che aggiunse - vedrai, a te che vieni dalla città, sembreranno tutti lentissimi. Grazie alla scuola di danza di Marta Graham, lo so io perché. Grazie a Sundi, lo sa lei perché. Grazie poi ad Atmanand, Gyandharma, Pratimo, Prafulla, Nitya, Kamadevi, Chandramani, Renzo, Manfredo, Majid, Brahmagati, Amlas, Sarjano, Madhu, Abiraj, Adiraj, Chahat, Prasuna, Tommaso, Ivanna, Samvega, Satyam Angelo, Dharmanand, Marina, Alberto, Sumanta, Vihara,  Mayo, Jagatha, Naveeno, Ivano, Vanni, Nirdosh, Surjan, Usha, Prashantam, Maneesha, Milarepa, Narayani, Rupesh, Praful, Marco, Shunyo, Basera, Ragyi, Rahasya (per me sei sempre Chandra), Isabelle, Jyoti, Chidvilas, Shantimayi, Miten, Premal, Parimal, Krishnananda, Zahira, Amana, Premartha, Svarup, Tabish, Sarvesh, Muni, Upchara, Silvia, Amore, Santino, Gagan, Shurta, Charu, Anurag, Asyo, Bansuri, Paribhoda, Videha, Lahma, Abiyana, Satya, Sushma, Radha, Samayo, Sambhavo, Rashmi, Javed, Aditi, Sanket, Saadi, Anurag, Khoji, Prano, Gyani, Jharna, Anadi, Abeeta, Amala, Kamya, Jyoti, Khora, Marga, Karam, Amol, Mahati, Anudip, Jivankala, Niskriya, Rahimka, Mansoor, Asho, Karolina, Agavar, Francesco, Sahela, Neelamber, Khoji Rita, Sameera, Ajad. Grazie poi a Francesco "Franz", a mia moglie Dervisha, a mio figlio Emanuele Samad, e a centinaia di altri esseri che ho incontrato, scontrato o con cui ho fatto un pezzo di strada insieme in questi appena trascorsi vent'anni della mia nuova vita. 
E un grazie enorme e profondo alle pietre e agli alberi e alle stelle e al silenzio di Osho Miasto, la città del Maestro che amo, che hanno sempre saputo come accogliere la mia solitudine. 

martedì 24 settembre 2013

Timeo Danaos, et dona ferentes





Quando un account - o un'account, per dir la verità - si appropinqui al tuo desco con proposizioni amicali, complimenti non sollecitati ed eziandio gentili inviti a sorbire un caffè insieme, diffida, giovine creativo (o creativa)! Diffida senza remore.
Chances are, come si dice in Albione, che incartato in quelle belle parole, avviluppato da quelle galanterie, camuffato fra gli svolazzi linguistici spesso impacciati, ci sia un bel dito per te.
Se non addirittura un cetriolo.

Se poi ti invita a prendere un'aperitivo, chiama a casa. Avverti tua moglie - o tuo marito o equivalenti - che farai tardi.
Non ti fare illusioni, però. Qualunque sia il tuo orientamento sessuale, il dito è riservato a te.

Tieni pronto un "no, grazie", condito da una delle 75 scuse classiche per declinare un invito, e pretendi di essere impegnato/a nello studio di un voluminoso manuale per utenti. Approfitta del momento in cui andrà a parlottare col progress, per organizzare la tua improvvisa chiamata fuori agenzia, per un incisione o un controllo delle prove di stampa.


Forse quell'invito avrebbe potuto essere innocente, o addirittura foriero di losche avventure, ma è meglio attanagliarsi col dubbio a casa, che rimasticare la delusione aspettando il taxi alle 3 di notte.

mercoledì 11 settembre 2013

Tristevere



Forse non sono più abituato. Oppure sono stato così fuori dalla corrente di transito che ha consunto i luoghi, ma attraversando Roma, un sabato al tramonto, uno di quei tramonti che non finiscono mai, come succede, sulle vie una volta consuete di Trastevere - fienaroli, lungaretta, santamaria, paglia, santegidio, vicolodelcinque, piazzatrilussa - sono stato investito da una malinconia senza ritorno, riconoscendomi nella musica triste di un ambulante, che raccontava di un umore grigio, come gli ultimi sprazzi del tramonto, ed è subito stata sera, come d'inverno, come un presagio di una cosa che è finita, così, improvvisamente, e non ritorna.
E quelle vie ancora belle, se le guardi rimirando il cielo, mi apparivano un presidio appena abbassavo gli occhi sulle insegne, i negozi, i bar, le bancarelle, i tavoli, le vetrine. Un presidio di pacifici invasori che mi alienava dal senso di appartenenza. Non era più casa mia, quel posto - che presunzione, mai lo era stato - ma un porto franco, che più che mai, sentivo distante e non più familiare, pur riconoscendo i tratti consunti e restaurati.

Non era nostalgia, no. Non c'era voglia di tornare indietro - o forse sì - ma una sensazione di addio.

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