venerdì 24 settembre 2010

Vuoto a perdere?




Ora, mi si scuserà, spero, l'ardire, se affronto la teoria del Big Bang a mani nude. Voglio dire, da crasso ignorante quale sono in molte materie, ma soprattutto in "fisica complicata degli scienziati", sì insomma quella che ha reso - giustissimamente - famoso Stephen Hawking. Allora, da crasso ignorante quale sono, non mi vado neanche a prendere un Wiki e a dargli una scorsa, così come faccio spesso per non sembrare del tutto impreparato sull'argomento che prendo a spunto quando - siccome soglio - ho il mio benamato nientedadire. No, pardone'mua', stavolta vado liscio e aspetto che butti il carico chi ce l'ha. Io ci ho solo una constatazione, anzi un'osservazione, semplice semplice semplice. Magari qualcuno di voi letterati, meglio, qualcuno di voi scienziati, mi potrà azzittire subito, snocciolandomi dati, diagrammi e parallassi varie, però a me 'sta cosa mi sta sul gozzo, anzi mi sta nella scarpa come un sassolino di quelli a punta, piccolo ma fastidioso assai.
Allora, dice, più o meno, che, a un certo punto - le stime variano, ma per me sono indifferenti, io non c'ero, credetemi, quindi mi devo fidare, però...- c'era questo ammasso, coacervo, ammucchiata di gas, plasma e varie particelle elementari che se ne stava tutto coeso, stretto stretto, a core a core, con se stesso. Un concentrato, fitto fitto, di potenzialità universale, così compresso che, a un certo punto, quel certo punto, non gliel'ha fatta più ed è scoppiato. Lo sappiamo tutti quanto è difficile la convivenza negli ambienti stretti, quindi non me la sento di biasimare gli inquilini di quel condominio che, per qualche verso, sono miei lontanissimi antenati. No, per carità, non dubito che una cosa del genere possa essere accaduta, anzi, mi meraviglierei del contrario. A me, che ora la taglio breve perché mi sono avventurato fin troppo su un campo minato, quello che non mi torna è un'altra cosa, e forse qualcuno di voi, signore e signori, mi può illuminare:

ma perché tutti codesti illustrissimi scienziati considerano come UNIVERSO solo la parte piena - solida e gassosa che sia - e non anche il VUOTO, lo spazio che lo contiene?

Cosa esisterebbe al mondo, senza lo spazio vuoto? E il fatto che sia vuoto, volendo anche un puro NULLA, vuol dire che non conta?
Che non ci si debba interrogare sulla sua origine? Oppure c'è qualcuno che sappia quando è nato - se è nato - il VUOTO CHE TUTTO OSPITA?

Sono consapevole della scarsa diffusione di questo mio sproloquio, ma se qualche generoso lettore avesse per caso conoscenze nelle alte sfere dell'astrofisica e non si dispiacesse di farmi avere una o più risposte interessanti, gliene sarei INFINITAMENTE grato.

Disco Partizani



e fatevela una ballatina, ogni tanto.

(meglio dire niente, soprattutto quando una parola è poca e due so' troppe)

mercoledì 22 settembre 2010

Pain and suffering.

La differenza fra dolore e sofferenza potrebbe sembrare una sottigliezza linguistica. Ma oggi non sono in vena - come disse il plasma insaccato - e colgo solo l'occasione per riportare in forma sintetica un'osservazione di Zahira (la mia maestra) a riguardo. Essendo una donna che ha passato una buona quarantina dei suoi sessanta anni portando il suo corpo in giro - in tutti i sensi - per il mondo, in condizioni anche estreme, è normale che ora il patrimonio di traumi accumulato faccia sentire con gli interessi tutto il suo valore. E non è una notizia che faccia fare salti di gioia, in assoluto. Ma neanche, e qui sta il punto, un motivo sufficiente per genuflettersi all'altare della sofferenza, intesa - in questo caso - come compiacimento autocommiserativo del dolore fisico. Certo che sento il dolore - dice Zahira - in ogni momento della giornata, ma non per questo scelgo di farlo diventare il fuoco e il fulcro della mia esistenza.
Ora, so già che molte persone potrebbero obiettarmi, ma che ne sai tu del vero dolore, prova piuttosto ad avere questo, oppure quest'altro, un po' come faceva il medico di Fight Club, che suggeriva a Cornelius/Edward Norton di andare a vedere nei gruppi di sostegno per i malati di cancro ai testicoli cosa fosse il vero dolore. Ci sono casi e casi e ognuno conosce i propri. Quello che intendo io è che assumersi la responsabilità del proprio stato d'animo è un impegno indelegabile e inderogabile. Se si ha chiaro il concetto, correggere la rotta può essere relativamente facile, oltre che discretamente gratificante.
Tutto qua. Quando ho una buona occasione per ricordarmelo, preferisco farlo.

lunedì 20 settembre 2010

Impressioni di settembre. (dietro gentile richiesta)


Potrebbe sembrare strano che, dopo quindici anni di appassionata frequentazione (cerco di mantenere i superlativi al minimo), io mi trovi in difficoltà a raccontare cosa succede quando arriva Zahira. Mi perdoneranno quelle gentili signore che mi hanno chiesto un resoconto se riuscirò a trasferire solo sprazzi di sensazioni e magari qualche immagine. Cominciando da questa: io che digito questo post come se avessi dei guantoni al posto delle dita, tale è il senso di indefinibilità di un incontro del genere. No, mi correggo - e facendolo mi rendo conto che questa espressione ricorrerà anche troppo in queste righe, se mi lascio il tempo di rileggere e riconsiderare - non è che non si possano trovare definizioni per qualche esoterico motivo, è che forse, anzi senza forse, sarebbero, come spesso accade, riduttive. Provo a proseguire a passi brevi e semplici, come un bambino. E' un incontro di amici, per molti motivi: parecchi di noi conoscono Zahira da anni, alcuni la seguono o l'accompagnano nel suo tour, affluendo dai punti più disparati del mondo, spesso senza sapere la lingua del paese dove andranno, senza sapere se e dove troveranno un posto per dormire, come faranno a raggiungere il luogo dell'incontro. In quello che è stato, come capita ormai da un po' di tempo, l'incontro conclusivo del suo giro nel vecchio continente -l'avevo detto che lei viene dalla Nuova Zelanda, dove vive per il resto dell'anno con una piccola comunità di amici? - quindi, dicevo, nell'incontro di questo week end appena trascorso, c'era, per esempio, un uomo che veniva da San Pietroburgo, una donna di Taiwan che veniva su a Faleria dopo aver partecipato all'incontro della scorsa settimana a Cisternino (in Puglia), due amici finlandesi - uno dei quali si sta rigirando sul monastico futon del mio divano. Per dirne una. Alcuni inconsulti avvenimenti politici - leggasi rivoluzione - hanno impedito a Zahira di tenere un camp in uno dei luoghi che è solita frequentare nel suo tour, il Kirghizsthan, per dirne un'altra. Ma sto divagando, prendo tempo, evito di affrontare il nocciolo della questione, la prendo alla lontana. Ma è anche in questa maniera che io vivo questa storia, ogni volta: il vortice si incomincia a far sentire a distanza, qualche mese prima, poi si avvicina sempre di più, infine ti risucchia dentro la centrifuga, per riconsegnarti alla tua vita di tutti i giorni bello pulito, dopo averti rimescolato emotivamente, strizzato via molta acqua sporca (metaforica, sì, ma anche fisiologica), e candideggiato nelle intenzioni e nella comprensione (e scusate il "candideggiato").
Non c'è più da tempo una struttura fissa e preordinata in questi nostri incontri, anche perché nel breve arco di un weekend c'è solo spazio per una full immersion: il "gruppo" comincia, per ognuno in maniera diversa, quando arriva Zahira, ma in un certo senso, anche prima, quando si è scelto di parteciparvi. Intendo dire, quando realmente si è preso con se stessi quell'impegno e ci si organizza per onorarlo, o non si può fare a meno di scavalcare altri ostacoli che molto facilmente tendono a presentarsi. Come dicevo, a chi sta avendo la pazienza di sopportare tutte queste parentesi, quando si è lì insieme, le dinamiche fra le persone nella semplice interazione di condividere uno spazio sono già un percorso istruttivo. Ognuno di noi tende ad identificarsi con un ruolo - lo facciamo nella vita di tutti i giorni ed inevitabilmente lo replichiamo anche nel gruppo, se non ci stiamo attenti - e la nostra cara amica trova sempre un modo simpatico ma diretto per farcelo notare, senza giudizio, ma senza ipocrisia. Bon, ma allora, cazzo, ci racconti qualcosa di questi giorni? Arrivo! Volete sapere cosa abbiamo fatto in pratica? Allora, la mattina verso le otto, approfittando del clima favorevole e della bellezza del posto, ci sedevamo sotto un bell'albero per assaggiare un po' di Tao, cucinato da Zahira (ma non era una maestra sufi? ecco lo vedi che le etichette già non funzionano più bene...). Mi spiego, il Tao...no, non è possibile. Ok ci riprovo in maniera meccanica a fare un'elenco di azioni, altrimenti non vado avanti, ma non prendetevela con me se poi risulta un po' asciutto. Lettura di una pagina del Tao Te Ching, commento discorsivo, molto allargato e molto pratico -"I'm a practical housewife, you know", è solita dire di sé Zahira - quindi un po' di Chi Kung, per rimetterci in piedi ed entrare nel flusso, che è poi il filo conduttore della nostra vita, no? Quindi colazione, un po' danza, libera, insomma come quando vai a ballare a casa di amici, solo che qui c'hai un finlandese molto eccentrico come DJ, che ti propina improbabili medley dei Rolling Stones in versione gipsypunk...per dire. Ma anche questo spazio, innocente apparentemente, è un bel teatrino delle nostre stampelle. Cioé un'occasione per guardarci rappresentare i nostri ruoli. Temo a questo punto di essere andato decisamente per le lunghe e di avervi annoiato, senza essere ancora arrivato all'ora di pranzo. Il punto è che non posso dire "allora Zahira ha detto questo, Zahira ha detto quest'altro" perché quello che lei dice è funzionale all'insegnamento e appartiene al momento, non a lei. Quindi potrei essere ancora più stucchevole se riportassi tutti gli stati d'animo che mi sono trovato, anche questa volta, a testimoniare, con la mia condizione di interprete oltretutto, per di più emotivo nel modo più italiano immaginabile. E di nuovo mi fermo; è l'esperienza diretta l'unica possibile e dovrei essere almeno a tu per tu con chi legge queste righe per sperare di trasmettere le sensazioni e i sentimenti che io nutro per questa persona. Ché, certo, quelli li potrei elencare, ma credo che "gratitudine assoluta" sarebbe sufficiente. In finale ci siamo fatti come al solito un sacco di risate, perché non crediamo ad un cammino spirituale che non sappia fare dello spirito, anzi il contrario. "Life is bliss" è un messaggio spirituale della massima ampiezza, che non può essere trasmesso con la fronte aggrottata e l'indice puntato. Per prenderlo sul serio è sufficiente accorgersene e comportarsi di conseguenza. Per il resto, c'è la vita di tutti i giorni come parco giochi. E viverla secondo natura, nel modo più semplice, è il massimo obiettivo auspicabile. "What more?" chiede Zahira, con l'innocenza di chi ne ha viste migliaia. Certo, la nostra vita cittadina non sembra essere il percorso più lineare per attraversare l'esistenza in uno stato non ipnotico, non in trance, come ci capita spesso mentre guidiamo da casa al lavoro proiettando nel futuro immediato - il confronto coi colleghi, la pratica rognosa, il parcheggio da trovare - o nel passato anche remoto - quella bella storia con la tizia/il tizio, la litigata del giorno prima, momenti belli che servono da anestetico - la nostra consapevolezza, o più semplicemente, come la chiama Zahira, la nostra presenza.
Non era mia intenzione chiudere questo post con una citazione, ma, dal momento che è salita a galla ora, proprio in questo momento, la lascio uscire. "Tomorrow never comes. It is always today." dice Osho, il nostro maestro comune, sempre presente. E nella sua semplicità è una verità incontrovertibile.
Se non ci credete aspettate domani. Mi saprete dire.

(Fine della storia. Forse. Grazie per l'attenzione)


ghost track: "Ma come? E le danze sufi? I dervisci rotanti? E tutte le altre tecniche, il latihan il gibberish, lo zhikr?" Sì, certo, c'è stato anche tutto questo. Ma cosa ancora si può raccontare di un'esperienza così individuale, se ti serve proprio per cancellare o ridurre l'eccessivo attaccamento alla tua individualità?
Di nuovo, "Don't trust me. See for yourself, make your own experience. Then you won't need to trust anybody else."

mercoledì 15 settembre 2010

Ricordati di te. (Due giorni all'alba)



Questo week end portati a fare un giro, fuori porta, e vieni ad incontrare qualche nuovo/a amico/a. Potresti persino incontrarne qualcuno dimenticato, che ti assomiglia.
Ma parecchio, eh.


Come, come, whoever you are.
Wanderer, Worshipper, lover of leaving.
It doesn’t matter.
Ours is not a caravan of despair.
Come, even if you have broken your vow a hundred times.
Come, yet again, come, come.
– Rumi




Certe volte perdersi è il modo migliore per ritrovarsi.

domenica 12 settembre 2010

De Torvajanica blus.


Portati qualcosa da leggere quando attraversi Torvajanica in macchina. Soprattutto se sei tu a guidare. Così puoi distogliere lo sguardo da quella quaresima di case appuntate ai lati della litoranea per un tempo interminabile. Se l'attraversi d'estate, un sabato pomeriggio fatto di gelato, di mago del gelato, di pozzo del gelato, di olimpiade del gelato, di ministero del gelato, di consolato del gelato, o, nel peggiore dei casi, di "king" del gelato. O in uno sconsolante crepuscolo di pizza al taglio, pizza al cartone, pizza tonda a porta'vvia, quattro supplì e due ascolane, birra, birra, birra e tavernello. Oppure un sabato sera di zigomi alti, gomiti alti, voci alte, tacchi alti, ormoni alti, bassi alti dagli altoparlanti di SUV alti. Prendi altrimenti il lato blue di Torvajanica, che in realtà è il lato grigio, scegli di attraversarla un sabato mattina di novembre, presto presto, con nessuno in giro, guidando verso sud est, col rado sole che ti acceca all'improvviso, mentre anaconde di sabbia avanzano dalla spiaggia sull'asfalto, accedendo, come faresti tu, dai varchi aperti, in scansione irregolare, ogni tot case, casette, palazzine - quelle belle collezioni di intonaco scrostato, di ringhiere carcinomizzate dalla ruggine salmastra, di tapparelle abbassate senza speranza per mesi di seguito. E' impagabile Torvajanica nel suo antonomastico squallore, potrebbe a buon diritto entrare nel frasario contemporaneo, fornendo un nuovo strumento di descrizione al nostro lessico sempre in crisi di assuefazione, sopraffatto dalle conseguenze del logoramento semantico. "'sto film è proprio 'na Torvajanica" sentiremmo sospirare dal nostro vicino di sedia al cinema, e capiremmo subito che intende condensare in quella parola un concetto ben preciso: è una cosa brutta e noiosa che non finisce più. "Il programma di questo partito è una vera Torvajanica" renderebbe icastico un giudizio di mediocrità progettuale, aggravato dalla inguaribile reiteratività di una certa politica, quella che si subisce senza speranza. Sarebbe molto triste, un giorno, sentirsi dire "Amore, la nostra storia è ormai una Torvajanica.". Vorrebbe dire non solo che è arrivata al capolinea, ma che ha un disperato bisogno di eutanasia. Quella che invoco io per Torvajanica, per regalare ai suoi abitanti il sogno di rivedere il mare, come lo vide Enea, quando, dopo essere sbarcato sulla sua nuova terra, si voltò per guardarsi un'ultima volta indietro.
Con la piena consapevolezza di essersi lasciato alla spalle una Troia ormai bruciata.

giovedì 9 settembre 2010

Morire per delle idee.


Mourir Pour des Ide�es
Caricato da Ben-Yehuda. - Scopri altri video musicali

Mai come in questi giorni trovo opportuno ricordare questa canzone, scritta da Brassens nel '72 e tradotta magnificamente da De André nel '74. Con la triste constatazione che ancora troppo spesso si muore - prima del tempo, ingiustamente, con violenza - per delle idee, originariamente altrui. Non solo quando si sceglie di immolarsi per una causa collettiva che viene, ironicamente, scelta come motivo di vita. Ma anche quando il sistema collettivo di credenze, assunto dai più, imposto o esercitato per delega da alcuni, ritenga giusto sacrificare la vita di un individuo - il caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani è solo il più recente - che a tale sistema non si adegui. Una realtà amara, già brillantemente illustrata da Brassens nel suo album di esordio, con un'altra memorabile canzone. E sperimentata sulla propria pelle da milioni di altri, forse miliardi.
Non è nelle mie intenzioni analizzare a fondo le ragioni di questa assurdità cosmica. La scelta di privare della vita un altro essere ha, secondo me, un campo di applicazione ridotto al solo fine della sopravvivenza contestuale: tu stai per uccidere me - o i miei cari - io, nell'impossibilità di fuggire o di renderti inoffensivo, uccido te, se ci riesco. Molto animale, mors tua vita mea, ma questo è quanto.
E questa è la mia versione italiana.


Morir per delle idee, è un’idea coinvolgente
Un altro po’ morivo perché non l’ebbi mai
Travolto da una folla, feroce e intransigente
Che esaltava la morte, soprattutto quella altrui

Riuscirono a convincere la mia musa insolente
A seguire la loro fede abiurando i suoi errori
Confessandomi, poi, senza più spettatori
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.

Considerando i rischi, magari, limitati
Andiamo all’altro mondo senza affrettarci affatto
Perché ad avere fretta, si muore costernati
Di aver scelto un’idea che il tempo suo ha ormai fatto

Ora, se c’è una cosa che è proprio deprimente
È accorgersi alla fine di un sacrificio svelto
Che era un altro il principio, che andava meglio scelto
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.

I santi promotori del martirio d’onore
Invecchian predicando “Armiamoci e morite”
Morir per delle idee, per loro è sì un valore
Che si tengono stretto, quanto le proprie vite

Infatti quasi ovunque superano allegramente
Anche Matusalemme per la longevità
E certo ognun di loro si giustificherà
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.

Di idee che ti promettono l’onore nel supplizio
Tutte le sette al mondo ne offrono a quintali
Resterà solo a chiedersi il kamikaze novizio
Morir per delle idee, va bene, sì, ma quali?

Che tutti si assomigliano fra loro, tristemente
I fondamentalisti che cantano ai caduti
Evitando le fosse in cui li hanno guidati
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.

Se davver le ecatombi fossero sufficienti
Per far cambiare il mondo, per farlo rifiorire
Dopo mille milioni di sterminii indecenti
Il paradiso in terra starebbe per venire

Invece l’età dell’oro, ritarda eternamente
Gli Dei di sangue han sete, una sete infinita
E per la morte è sempre in corso la partita
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.

E voi, istigatori, del suicidio teoreti
Dateci il buon esempio siate i primi a immolarvi
Noi vi cediamo il posto, lasciateci star quieti
Che vivere è già duro senza star lì a’ ascoltarvi

Poiché la morte, infame, è in agguato costante
Di certo alla sua falce non servono gli aiuti
Basta con queste stragi, grandissimi cornuti
Moriam per delle idee, vabbè, ma lentamente
Vabbè, ma lentame-e-e-e-ente.



PS.Trovo molto toccante questa versione dal vivo, registrata da Georges vicino alla morte.

A volte sembra che, invece no.

D'altra parte, ci mancherebbe altro, non è che si può sempre sempre, eh, però uno magari ci spera, sai, ci si impegna. Oh, mica che di per sé l'impegno debba per forza significare, ma, è chiaro, quando ci si assume certe responsabilità, o, al meno, si prendono certe iniziative, uno, voglio dire, magari, non dico che avrebbe diritto, ma tant'è. Ad ogni modo, è importatante saperle prima certe cose, perché poi non ce se ne venga fuori con i "ma io qua, ma io là...", oppure, peggio ancora, che qualcun'altro si sbizzarrisca a distribuire i suoi simpatici "te l'avevo detto!".
Io, però, ve l'avevo detto,
Anzi ve lo dico subito, ogni volta, dall'inizio.
Capito?

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